– L’anima cerca Dio, è il respiro di Dio -
Scriveva San Pio:
O cielo! … o vita! … quale affaccio (vista) mi ritiri?! … e non sai che senza di te, mi è priva la stessa mia esistenza, e vivere più non posso senza il morire?! (Ep. I, p. 1034) Oh che bel giorno è questo!, oh che vista magnifica è quello di chiudere gli occhi del corpo per aprire quelli dello spirito davanti allo Sposo divino! Come si sta bene! La morte me la sento netta, piena di elasticità, il cuore libero e largo come il mare. (Ep. I, p.717)
Riflessione:
Capiamo bene che solo nell’unione con Dio si può arrivare a pronunciare queste parole. Solo in Dio l’idea della morte dona questa pace, questa serenità, addirittura fino a dire:”O che bel giorno..” Chissà quanto San Pio ha attinto da San Francesco, che chiama la morte ‘sorella’ con quell’affetto fraterno di cui era capace. Tutto va oltre il saper dire, tutto va oltre la poesia: è il saper guardare oltre. San Pio incarna talmente la parola di Dio da capire già perfettamente il concetto dello sposo divino e dell’incontro con Lui. San Pio, parte di Chiesa, sposa dello sposo che è Cristo. E quando la parte di Chiesa termina il suo tempo, varca la soglia e si apre all’eternità, si ritrova in quell’abbraccio straordinario con il suo sposo e il cuore si sente libero e largo come il mare. Cerchiamo, nel silenzio, di cogliere la profondità e la verità di questi pensieri.
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“In queste piaghe è tutto il gaudio mio”. Questo è ciò che con maggior difficoltà riusciamo a comprendere. Penso che siamo un po’ tutti incapaci di saperlo affermare davvero e che ognuno di noi porta piaghe nella propria esistenza, ma chi le considera gaudio, gioia, amore? Chi considera gioia quelle spine che tante volte trafiggono il cuore o anche solo la mente? Quante volte definiamo situazioni dolorose: ‘mancanze di grazia’, ‘disgrazie’, quando invece potrebbero essere tutte ‘occasioni di grazia’. La stessa realtà della morte è l’occasione dell’infinita grazia. Quant’è lontana da noi una vera e autentica mentalità di fede! Quanto sono lontane da noi le realtà divine che i santi, invece, almeno in parte, hanno fatto propria!
Scriveva San Pio:
Dovunque mi aggiro trovo spine, che tutto mi penetrano. Una sola cosa mi resta da amica: la morte. La chiamo di giorno e la chiamo di notte a solo fine di riceverne un refrigerio a tante mie sventure. Fo male io forse in desiderar questo?Ditemelo francamente. Però vi prego, padre mio, che io nel non cercare la morte io non sono libero di me stesso. È un grido che viene spontaneo dalle labbra senza poterlo raffrenare, e questo vedo che mi fa male. Forse in fondo alla mia anima coverà una secreta speranza che dalla polvere spunterà il suo raggio luminoso. (Ep. I, p. 767)
Riflessione:
San Pio arriva a dire che la vera libertà è saper chiedere la morte. Non c’è fuga dalla realtà o semplice cessazione del dolore, ma piena partecipazione alla realtà di Dio. Quasi tutti i mistici vedono la morte come l’esperienza più elevata, più alta dell’unione con Dio e la desiderano non come una fuga dalla realtà o come un atto di vigliaccheria, ma come compimento pieno di un’esperienza che si fa sempre più esigente e guarda oltre e vive oltre. Addirittura evitare il pensiero della morte gli faceva male perché doveva raffrenare qualcosa che, come un impeto, gli veniva dal profondo e la conclusione è sempre un’esperienza che va oltre: è l’esperienza dell’anima. “Forse in fondo la mia anima coverà una segreta speranza che dalla polvere spunterà il suo raggio luminoso” ed è proprio così: dalla polvere il raggio luminoso, dalla polvere il principio vitale. In quel soffio sulla polvere Dio dona l’anima e al termine l’anima torna a Dio perché è il suo respiro. La nostra anima è il respiro di Dio, il soffio di Dio: da Dio viene, a Dio torna nella sua assoluta esclusività. L’anima cerca Dio.
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“Pregate, pregate!”. Era l’invito continuo, costante, perseverante di San Pio verso tutti. Preghiamo! La preghiera è l’esperienza di ogni anima, di ogni persona. E’ un’esigenza fortissima che tanti mettono a tacere, ritrovandosi spesso vuoti, incapaci, inutili. “Pregate!” significa:” State con Dio, godetevi Dio, nutritevi di Dio, vivete di Dio ”. La preghiera permette a Dio di vivere in noi, per noi, con noi. La preghiera ci dona consapevolezze inimmaginabili. Se non preghi non lo saprai mai, non lo capirai mai; se non preghi non sai nemmeno cosa desiderare, non sai cosa c’è da capire, non sai cosa c’è da sapere. Prega!
Scriveva San Pio:
Pregate … incessantemente la divina pietà … pregate, dico, non perché ritirasse da me la sua mano che paternamente mi percuote, ma perché desse finalmente l’ultimo colpo. Non ne posso più della vita … mi vedo continuamente in pericolo di offendere il divino Sposo; mi vedo sempre circondato e penetrato da una fiamma divina che mi fa morire di mille morti al minuto secondo … La morte soltanto è il rimedio a lenire questa fiamma, la quale brucia e non consuma … dite a Gesù con confidenza filiale che rompa presto queste catene, che schiuda le porte di questo tenebroso carcere. Lui solo ne tiene le chiavi, lui solo sa il secreto per aprire. (Ep. II, p. 237/238)
Riflessione:
San Pio si vedeva anche prossimo alla tentazione, perché quei dolori lo tentavano addirittura nel poter offendere Dio, ma non tanto con espressioni poco riguardose, quanto nella possibilità di non dire:” Sia fatta la tua volontà, voglio sceglierti ancora con amore” e certe volte il dolore sembrava rendere impossibile questa manifestazione di amore e questo gli dava dispiacere e allora vedeva la morte come il culmine, mai per sfuggire alla realtà, ma per trovare compimento, proprio come accadde a Gesù o come era già accaduto a tanti martiri e mistici prima di lui.
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Penso che il Signore infonda in ognuno di noi l’esigenza di una straordinaria unione con Lui. E’ un’esigenza dell’anima, ma dopo meditazioni e riflessioni, adorazioni, l’esigenza si fa più forte. Come creature riconosciamo tanta miseria, ma come figli di Dio sperimentiamo tante ricchezze. Il divino ci ha generato ed è presso di noi; la preghiera ci permette di sperimentare e, speriamo per tutti, di testimoniare.
Scriveva San Pio:
Padre mio, chi è più misero di questa creatura? Ella sente il suo libero arbitrio, schiavo infelice della sua libertà, è strettamente legato alla catena dal timore e dall’amore di quel Dio che la creò. Ma non basta, ella vorrebbe sentirsi stretta a lui dal un altro amore, che non potrà realizzarsi in questo basso mondo; ella vorrebbe entrare presto in quell’eterno riposo per sempre vivere perduta in quell’oceano immenso di bontà, per conoscere solo ciò che egli ama e per godere onde è beato egli stesso. (Ep. I, p. 682/683)
Riflessione:
Ascoltando queste parole, è come se si sperimentasse la sofferenza del limite di non riuscire a descrivere ciò che l’anima sperimenta. Sono già espressioni meravigliose, ma se ne sente tutto il limite, tutta la difficoltà. Quest’anima che vorrebbe sentirsi stretta a Lui da un altro amore che non potrà realizzarsi in questo basso mondo: ella vorrebbe entrare presto in quell’eterno riposo per sempre, vivere perduta in quell’oceano immenso di bontà, per conoscere solo ciò che egli ama e per godere beato egli stesso. Tutt’altra idea della morte! E’ l’idea del paradiso, è l’idea dell’eternità, è l’idea del fine ultimo, è la speranza. Questo significa avere fede, questa è l’esperienza più autentica e più profonda dell’amore, questa è contemplazione, questo è San Pio, il più vero e autentico San Pio: un cuore che cammina sulla terra, ma che guarda e sperimenta il cielo e lo spera più di ogni altra cosa, non per fuggire dalla terra, ma per trovare pieno compimento a questa esperienza di amore.
Tratto dall’ Epistolario I, II, II edizione anno 1973, 1975 a cura di Melchiorre da Pobladura e Alessandro da Ripabottoni.
Le riflessioni sono del nostro Parroco don Emilio Lonzi.
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