- Scritto da
Elena e Stefania
- Pubblicato il 21 ottobre 2010 ore 10:58
Si era nel primo pomeriggio. Dovevo ripartire. Il Padre era costretto a letto da una febbre altissima. Respirava con affanno e tossiva quasi di continuo. Un confratello premurosamente era accanto a lui. Si prodigava per aiutarlo. Fra l’altro gli aveva messo sopra parecchie coperte, ruvide e pesanti, quelle che si usavano nei conventi. Almeno, così, sudando un po’ di più, la temperatura poteva via via abbassarsi. Ero lì in piedi nel corridoio davanti alla porta della sua cella. Lo vedevo soffrire. Disteso sotto quel cumulo di coperte, doveva restare immobile e paziente, per sperare in un graduale miglioramento. Il desiderio di salutarlo era forte, ma me ne astenevo per non affaticarlo. Anche il confratello mi pregò di non farlo. Improvvisamente il telefono, nella saletta in fondo al corridoio, incomincia a squillare e nessuno va a rispondere. Il confratello, che assiste il Padre, è costretto ad andare lui. Nel frattempo il Padre spinge da un lato le coperte, scende dal letto e appoggiandosi alla parete e alla porta, viene verso di me, vestito com’è con l’abito. Mi benedice, mi sorride e, abbracciandomi, dice quasi sottovoce: “Mò te ne può ji ” ( Adesso te ne puoi andare!) . Carità dei santi!
Squisita carità
Signore della vita,
sei Tu, che doni ai santi
la carità squisita.
In essi Tu dimostri
la forza del Vangelo.
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